lunedì 27 giugno 2011

Umberto Curi STRANIERO

Curi: "quando lo straniero misura la nostra identità"
di Marco Filoni, la Repubblica, 30/11/2010
Chi è lo straniero? L'immigrato, l'extracomunitario, il forestiero. O anche il rom. Oppure "l'altro", "il diverso" da noi. Umberto Curi, filosofo e docente a Padova, a questo termine ha appena dedicato un libro felice e riuscito. «Sono partito da un concetto di Freud, il perturbante, perché restituisce il tratto di un'ambivalenza irriducibile e costitutiva. Il padre della psicoanalisi mostra che proprio ciò che appartiene all'ambito domestico è massimamente perturbante: la cosa a noi più vicina è in realtà carica di una forza inquietante. L'esplorazione di questa dimensione di ambivalenza mi sembra il punto di riferimento più adeguato per trattare una figura che, sia dal punto di vista concettuale che linguistico, si mostra essere inevitabilmente duplice: lo straniero».

Non a caso non esiste nessuna lingua che traduca perfettamente il concetto freudiano di perturbante. Tranne una: il greco antico, con Xenos. Che è anche il termine usato per indicare lo straniero.
«Infatti è proprio su questa originaria ambivalenza linguistica che poi se ne costruisce una più generale. Nel senso che straniero è colui che, venendo dall'esterno, pone il problema dell'accoglienza e dell'ospitalità. Ma insieme pone anche l'aspetto della minaccia. Sono due caratteristiche insolubili. Non è mai possibile ridurre l'hostis, il termine latino per indicare lo straniero, semplicemente a ospite; così come non è possibile ridurlo soltanto a nemico. È sempre ospite e nemico insieme».

La nozione dell'ospitalità chiama in causa quella del dono. Qual è il rapporto fra lo straniero e il dono?
«Sono figure simili, riflettono un'identica condizione. Come insegnano i classici greci e latini, il dono è sempre un inganno. Si presenta come qualcosa che al tempo stesso conferisce e sottrae. È qualcosa che aggiunge, ci dà qualcosa in più. Ma al tempo stesso vincola, ci mette in una condizione di subalternità. È esattamente ciò che accade con lo straniero. Non c'è dubbio che sia portatore di un dono. E questo dono è il conferimento della nostra stessa identità. È bene non dimenticarlo: possiamo definire la nostra identità solo in rapporto con l'altro da sé, e ciò che è veramente altro è lo straniero. Però lo straniero è accompagnato in maniera indissolubile da un'inquietante carica di minaccia».

Ed è questo aspetto che crea e alimenta la paura...
«L'atteggiamento nei confronti della paura è uno degli aspetti più rivelativi della miseria culturale del nostro dibattito. Perché sulla paura sono state costruite le fortune di alcune forze politiche italiane. Attraverso la paura è più facile esercitare il controllo sociale e acquisire comodi successi politici. Tutte le così dette politiche del rifiuto si fondano su questo aspetto».

Sullo straniero si è creato un mercato della paura: come venirne fuori?
«Rovesciando il processo. Oggi si discute, si deliberano con grande sicurezza provvedimenti e iniziative di carattere legislativo senza essere sfiorati dal dubbio, senza il minimo di problematicità. Nessuno s'è preso la briga di approfondire e capire la figura dello straniero. Al contrario bisognerebbe aprire una riflessione rigorosa e approfondita per cogliere la sua polivalenza. Tenendo ben distinte l'ospitalità, nozione filosofica, dall'accoglienza, che è invece uno dei possibili atteggiamenti politici con i quali affrontare la questione».

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