martedì 21 dicembre 2010

Noi siamo qui (2)


[Il critico Bruno Fornara (che ringraziamo per la foto), nelle vesti di un depresso turista occidentale, si sottopone a un rischioso provino sui binari a scartamento ridotto della famosa Darjeeling Himalayan Railway, mentre sta arrivando l'accelerato del pomeriggio, durante la preparazione di The Darjeeling Limited di Wes Anderson.
Come dice Nuccio Lodato, quel luogo potrebbe essere un qualsiasi punto della terra ]


Venire a trovarci qui a Roccella nel 2011 sarà un poco più complicato. Ma confidiamo nel desiderio che anima appassionati e studiosi.
Infatti, da qualche giorno hanno sospeso, nonostante le proteste, i treni a lunga percorrenza (e non solo) che arrivano sulle coste ioniche della Calabria. O meglio Trenitalia ha sospeso. Dice che non conviene.
Ma sì, poi, alla fine, dov’è che dobbiamo andare noi?

I disagi che tutto questo provoca allo sviluppo di un territorio già di per sé carico di problemi sono sotto gli occhi di tutti, e, se ancora qualcuno non si è reso conto, si accorgerà presto, sulla propria pelle, dell’esclusione sistematica con cui procede la logica del mercato, soprattutto nei confronti di tutte quelle realtà in cui rendere un servizio - doveroso visto che Trenitalia è di proprietà dello Stato - non è abbastanza proficuo.

Perciò noi rimaniamo qui, non andiamo da nessuna parte, restiamo stesi su quello che sembra il binario morto della storia ad aspettare un treno che passa. Ma che non passa.
Non possiamo neanche morire poeticamente come nei film… anche l’estrema indignazione si ammanta di solitudine invece che di epicità.
Sennonché, sennonché l’attesa, come lucertole sotto il sole, può trasformarsi in possibilità e lotta essa stessa.
Tempo per pensare/agire, tempo di capire perché viviamo in un mondo in cui avere ragione non basta.
Alla fine la domanda è sempre la stessa: qual è il limite del pensiero? perché avere ragione non basta?
Perché il pensiero non ha potere (cosa diversa dalla possibilità di agire)? Forse perché l’interrogazione stessa è il non-potere (vedi Edmond Jabès)?!?
Forse sì, di certo il potere è l’unica cosa da interrogare
e allora stare su quei binari e l’unica cosa da fare, poiché anche l’attesa è una domanda che aspetta di essere pensata. Tutto il resto, le ragioni, l’ingiustizia, il sopruso delle logiche mercantili, la mercificazione del welfare, tutto è stato pensato, ma non basta ancora. Siamo qui, dopo centocinquant’anni, senza treni, abbiamo solo i binari e sui binari restiamo.
Noi, per conto nostro, non andiamo da nessuna parte. Noi siamo gli avamposti e siamo disposti anche a farci strada, (a farci binario…) affinché chiunque possa percorrerla.
Si vede bene che non possiamo neanche decidere di farla finita, per estrema disperazione e siccome altro non sappiamo farlo, ci siamo messi a pensare e a tentare di risolvere, visto che non possiamo fare nessun altro lavoro onesto. Chiunque è il benvenuto.

sabato 11 dicembre 2010

domande fondamentali 4


La sintesi operata in precedenza rende conto solo in parte dell’enigma che rappresenta il titolo dell’iniziativa roccellese: Riflessi del presente. Individuo vs. politica. L’individuo come elemento negativo e ambiguo è il risultato di un destino della politica spoliticizzante, ma da un altro punto di vista, in sé può nascondere un soggetto a venire e che si farà, passando per la sua singolarità, solo nello scontro con questa forma di politica. Ma sono solo ipotesi interpretative di un binomio assai problematico che non rende conto delle forme o delle deformazioni cui va incontro - se esiste ancora - il rapporto tra individuo e politica, e che, consapevole del vuoto di auto rappresentazione, viene emblematicamente definito dalla disgiunzione versus, contro.
Se partiamo da considerazioni banali, l’idea di individuo è, brutalmente, il singolo, l’uomo empirico e la sua esperienza, ciò che quotidianamente definiamo ‘io’. Il termine politica attraversa invece un travaglio semantico e reale di cui da lungo tempo si ha consapevolezza. In essa è certamente presente una componente “collettiva”, come insegna la Arendt, che si rapporta all’individuo come suo limite e, contemporaneamente, come spazio in cui l’individuo si rappresenta, o viene rappresentato, rigenerandosi in forme nuove: soggetto, cittadino, vivente.
È proprio il riconoscimento, la riflessione quella che sembra mancare. L’opposizione dell’esperienza individuale e di una dimensione politica da cui ci si sente estranei sembra essere il solo dato imprescindibile di tutta la questione. Questo contrasto si materializza o nella convinzione profonda che la politica è ormai solo realpolitik o nella visione di un vuoto, in una mancanza di senso che scoraggia e che prelude a ogni sorta di confusione e disordine. In questo scontro/riflessione ipotizzati dal titolo, vengono a mancare, in sostanza, i due “contendenti”: il primo imparlabile, la seconda svuotata.
Forse quel versus, che rimanda all’esistenza del conflitto, rappresenta già una possibilità. Quelle due lettere, vs., messe lì a indicare un’interpretazione essenzialmente negativa di questo rapporto, freudianamente, si manifesteranno come l’elemento rimosso di cui, in fin dei conti, sentiamo il bisogno di discutere: il conflitto. Affinché un conflitto sia definito tale è necessario infatti un terreno comune, è necessario ristabilire una dialettica, parola spesso dimenticata, in cui risulti chiaro chi è l’avversario e chi è l’amico, in cui si possa giocare, rischiandola e per questo acquisendola, la nostra soggettività e la visione del mondo. Il ruolo della filosofia in tutto questo potrebbe essere determinante. Per la filosofia.


am

domande fondamentali 3


Logos o Bios?
Esiste un simpatico programma ormai presente su molti siti internet: un riquadro che segnala i contenuti più letti e quelli che lo sono meno, ingrandendo o diminuendo le dimensioni dei caratteri delle parole chiave che li rappresentano. L’immagine è perfetta per rendere conto della sensazione registrata durante i tre giorni della Scuola: termini come “potere”, “violenza”, “individuo” sono lentamente rimpiccioliti mentre andavano ingrandendosi espressioni come “potenza” e “libertà” e “soggettivazione”. L’operazione che può portare a un dialogo positivo tra parola e azione è quella che determina in primo luogo un pensiero sul linguaggio della politica e della filosofia e sui termini chiave che intersecano entrambi i campi.
L’idea di potere è stata la prima a essere posta al vaglio dell’analisi. Come vede bene Cantarano, la politica moderna, che si realizza nella forma della democrazia rappresentativa, traduce l’idea del potere come potere di delegare, libertà di lasciar fare o di non fare. All’apice della politicizzazione non può che esservi l’antipolitica, cioè l’inutilità della politica. Il conflitto, che rappresenta il principale problema della convivenza tra diversi, è completamente risolto e depotenziato nella gestione puntigliosa della struttura sociale, culturale e biologica in cui le forme di vita si determinano. Il sentimento antipolitico è proprio di un mondo “modernamente” realizzato, cioè senza più conflitto, proprio di una politica che non è più pratica di contenimento del Male, ma modello di produzione del Bene, una forma di comunanza che estromette il conflitto capace di assorbire le istanze tra di loro in opposizione e lo sostituisce con un modello ideale. Cantarano ha infine ritrovato in questo meccanismo il rapporto perverso che si è innescato tra prassi e teoria, dove la teoria serve solo a formulare modelli di buon governo invece di immergersi nella prassi che la quotidianità impone.
Il percorso segnato da Ida Dominijanni si basa sull’accostamento sinonimico tra biopotere e biopolitica, sviluppando l’analisi di una delle diadi che ha caratterizzato le forme politiche della modernità: pubblico e privato. Lo sfondamento del privato nello spazio del pubblico, e viceversa, cui assistiamo nella società contemporanea non è che l’ennesima affermazione di un ordine simbolico e sociale incapace di riflettere sulle istanze che pone il paradigma biopolitico; incapacità che spesso si converte nella frustrazione del grande potenziale di libertà che possiede l’entrata della vita nella politica. Da una prospettiva che riprende anche le fila del pensiero femminista, la deformità di questo rapporto, fomentata da media e vicende politiche, lascia nascosto il più proficuo binomio personale/politico. Si intende con questo che il personale è politicizzabile, diventa oggetto di riflessione con un valore che ricade sull’azione comune. Non tutto è biopotere, ed è proprio nei processi di soggettivazione che il singolo intraprende, accogliendo la pluralità, che si può ancora limitare uno spazio pubblico in cui è pensabile la costruzione della libertà.
Sulla soggettività è tornato, nella lezione conclusiva, Pietro Barcellona. La singolarità del suo intervento si è vista soprattutto nella forma particolare che egli ha scelto per discutere del desiderio degli individui di essere felici: la forma del dono. Il filosofo catanese, raccontando momenti significativi della sua personale esperienza di vita e richiamandosi ad autori come Luisa Muraro e Pier Paolo Pasolini, ha intessuto il discorso sulla ricerca della felicità con la necessità, pericolosa ma ineludibile, di esporsi agli altri, praticandola di fatto durante il suo intervento a Roccella.
Il momento finale è stato quello della tavola rotonda, che ha raccolto dinamicamente le multiformi istanze manifestatesi. Prima dell’inizio tutti, tra partecipanti e relatori, si sono trovati riuniti nella saletta della segreteria in modo del tutto informale a discutere le sorti di un evento come questo: cosa è mancato, cosa ci si aspettava, cosa ha sorpreso positivamente e come migliorarsi. Le varie posizioni che sono emerse sono affiorare anche nel succedersi dell’incontro ufficiale. Tante le domande che chiedevano di riannodare i concetti del logos filosofico alla vita, al bios, in senso socratico questa volta(1), domande che toccavano problemi nevralgici di un territorio come quello locrideo, e che evidenziavano il peso che ha sugli individui un economia globalizzata e malata come la nostra, lucidamente descritta la prima sera da Mario Alcaro. Altrettanti i contributi in cui si tornava sul tema della forma del dibattito: alle proposte provenienti da studiosi e dottorandi che hanno manifestato il desiderio di una riflessione più serrata e specialistica, si opponevano quelle di chi credeva che la società civile finirebbe per venire esclusa da un meccanismo che rischia di diventare elitario ed esclusivo, nel suo significato deteriore.
La richiesta dei giovani studiosi manifesta senza dubbio un malessere che l’Accademia, nostrana e non platonica, non è più in grado di nascondere: l’incapacità di assolvere un ruolo, anche solo teorico, forte e intransigente nel campo dello studio e della ricerca filosofica. A parte casi isolati, sono pochi i luoghi universitari in grado di accogliere una posizione così radicale, scevra da logiche ambigue e da meccanismi di potere, economico e simbolico.
La risposta di Pietro Barcellona ha considerato che l’eventuale errore di rinchiudersi, da parte degli studiosi di filosofia, non può essere scongiurato con il ricorso alla piazza: lo spazio dell’incontro deve essere delimitato e scelto da tutti coloro che vorranno occuparlo, altrimenti rischia di voltarsi in divertissement. D’altra parte, ha rilevato Giuseppe Cantarano, l’iniziativa di cui è stato direttore ha come priorità proprio quella di non trasformarsi in una copia dell’Accademia al di fuori delle sue mura. Un’ipotesi la propone, non a caso, Ida Dominijanni che si rifà al femminismo italiano e suggerisce la pratica della relazione come costruzione di un legame condiviso e dinamico in uno spazio di significazione.
In effetti, l’atto più politico che può compiere oggi la filosofia, è, a nostro parere, assumersi la responsabilità per l’esclusione che tende spesso a perpetrare, combattere la fatica che comportano per il pensiero le piccole cose e la quotidianità di chi parla a partire da sé, chiedersi perché e tornare a parlare nel mondo.
am

continua...
(1)L’accezione è evidenziata proprio dal teorico della biopolitica Michel Foucault: Socrate è capace di un “discorso vero”, la parresia, poiché riesce a creare un’armonia tra il logos, il discorso razionale, e il bios, il modo in cui si vive, lo stile di vita. Foucault M., Discorso e verità nella Grecia Antica, Donzelli Editore, 2005, pp. 65-67.







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domande fondamentali 2


Che cos’è la politica?
È interessante che Hanna Arendt, per rispondere alla domanda, chiami subito in causa la filosofia con lo scopo di definire, per contrasto, le differenze sostanziali tra queste due sfere della vita umana. In totale opposizione alla politica, la filosofia si origina intorno all’idea dell’Uomo: i suoi concetti e i suoi enunciati sarebbero validi anche se esistesse un solo uomo o solo uomini identici, la politica si occupa, invece, della convivenza dei diversi ed esiste solo “al di fuori dell’Uomo” . Oltre a una certa estraneità della filosofia alla profondità su cui poggia la politica, bisogna rilevare un aspetto ben evidenziato dall’intervento del direttore della Scuola, Giuseppe Cantarano, sul concetto di antipolitica: lo stato attuale della politica può essere definito come un costante andare verso la sua stessa fine, una sorta di entelechia che ci permette di immaginare una sua definitiva scomparsa. Ciò è dovuto alla natura intrinseca della politica moderna che converte la convivenza tra diversi nella riduzione a unità della differenza, unità pacificata e libera di non occuparsi più dei problemi che la convivenza pone: la politica serve al singolo, per pensare ai suoi scopi e non essere molestato dalla politica. Il fine della politica non è più l’organizzazione della convivenza ai fini della libertà di tutti coloro che appartengono al suo spazio, ma l’organizzazione della “vivenza”, il prendersi cura della vita nel senso più ampio del termine, riferito cioè a una moltitudine quanto più grande possibile di individui, la vita dei molti, allo sviluppo dell’esistenza del singolo, ciò che Foucault, citato dalla Dominijanni, chiama “l’allevamento dei viventi”, e al mantenere in vita la vita stessa, la biopolitica in tutti i suoi significati migliori e deteriori.
Come ha fatto notare l’originale intervento di Mario Alcaro, i prodromi di questa tendenza del pensiero politico moderno si possono ritrovare in Tommaso Campanella, quando ne La Città del Sole descrive tra i compiti del governo del Città una sorta di rudimentale forma di eugenetica. Sulla biopolitica si è soffermata a lungo Ida Dominijanni mettendo in luce piuttosto i pericoli che essa comporta: come lo svuotamento dei processi di soggettivazione e delle forme di relazione tra pari. Anche l’intervento di Pietro Barcellona, che partiva da presupposti diversi e che prendeva in considerazione l’aspirazione legittima del singolo alla felicità, giungeva infine a una riflessione sulle possibilità di essere soggetti oggi, e sulle conseguenze politiche di questa possibilità.
Gli argomenti messi in gioco a Roccella rendono conto del problema di cui accennavamo all’inizio, quello del rapporto - a questo punto bisogna dirlo - ostile, tra politica e filosofia, che dipende da una certa incongruenza logica (l’Uomo/ gli uomini), da un disinteresse sintomatico della filosofia a pensare con profondità alla politica e a una tendenza naturale della politica moderna che si converte in biopotere a antipolitica.
Non è una coincidenza che la Scuola abbia avuto inizio con il richiamo a Tommaso Campanella. Il filosofo calabrese, è giustamente citato nella lezione inaugurale non tanto, o non solo, come espressione del pensiero in relazione al territorio; ciò su cui Alcaro dimostra di fondare le sue argomentazioni va ben oltre una certa affinità tra luoghi del pensiero, il suo intervento prosegue infatti con una lucida analisi delle potenzialità positive intrinseche al paradigma biopolitico, capaci di svilupparsi solo accanto a una nuova consapevolezza del mondo, che la filosofia può contribuire a far rinascere. D’altronde la “costruzione” del mondo è ciò che per eccellenza caratterizza l’attività politica: il nesso latente e indissolubile spiega il perché di Campanella. Le rocambolesche vicende che hanno caratterizzato la sua vita, testimoniano come egli sia stato un filosofo che si è confrontato realmente con la situazione politica del suo tempo. Con la sua Città ideale descrive un modello di convivenza che rimanda alla Politeia di Platone e ci trasporta esattamente lì dove le ostilità sono nate.
Platone può essere considerato in questo senso il padre metaforico del Campanella (bio-)politico: uomo della città, cittadino ateniese totalmente coinvolto nella cosa pubblica, è in effetti colui che ha segnato le sorti del rapporto ultimo su cui ancora ci interroghiamo. All’origine la condanna a morte di Socrate, per cui la filosofia sta ancora pagando: il Discepolo, ritiratosi dalla vita pubblica, fonda l’Accademia. Sebbene egli continui a nutrire la segreta speranza che questo possa servire a cambiare la polis, e sebbene la filosofia continui lì a operare in una sfera pubblica, il suo gesto estromette inequivocabilmente la politica. Se i giusti discorsi di Socrate non hanno convinto l’Agorà ateniese, la polis non è il luogo che può accoglierli. La filosofia nell’Accademia assume dunque la sfera della parola, si contrappone radicalmente a quella dell’azione e sostituisce alla riflessione sugli uomini quella sull’Uomo; diviene uno spazio pubblico separato dallo spazio politico, essa non si imbatte in tutti i problemi della convivenza in cui è necessario agire insieme agli altri o per gli altri.
“La posizione socratica: l’unica pratica filosofica che si sia mai svolta in pubblico. Di contro l’Accademia” .
Il problema consiste dunque nella possibilità di recuperare o reinventare questa forma peculiare del fare filosofia: senza retorica, senza ripetere l’errore di creare modelli di buona condotta e accettando che coloro che, per comodità di discorso, sono stati definiti proditoriamente “non-filosofi” possano rubare le parole di bocca alla filosofia e a coloro che definiamo, non meno proditoriamente, “filosofi”. Una tale operazione deve per forza mirare a imporre nuovi linguaggi e nuovi concetti. Non si tratta di riaffermare il primato dell’azione sulla teoria ma di essere in grado di riposizionare le idee che da sempre nella nostra storia appartengono al politico.
am
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domande fondamentali 1


La prima edizione della Scuola Estiva di Alta Formazione in Filosofi ha offerto l’occasione per riflettere sulle forme della filosofia contemporanea, soprattutto riguardo a una dimensione molto particolare del pensiero che è quella della discussione pubblica. O meglio, plurale: infatti, il terreno che ha sorretto e definito, definendosi a sua volta, il cammino di una riflessione che aspira a dirsi “condivisa” è l’interagire perpetuo e magmatico tra filosofia e politica. L’argomento, come si vede, investe un grande campo d’azione che però può essere meglio delimitato se si prende in considerazione la prospettiva offertaci da Hanna Arendt, in un saggio fortemente significativo dei principi che sono emersi anche durante l’evento roccellese.
Parliamo dell’Introduzione alla politica (1), che la filosofa ebreo-tedesca inizia a scrivere nel 1956 su suggerimento dell’editore Klaus Piper . L’intento con cui si appresta a redigerla è di “esporre quello che realmente è la politica e i presupposti fondamentali dell’esistenza umana con i quali il politico ha a che fare” . Il libro non venne mai portato a termine, ma i frammenti che rimangono sono testimonianza di una volontà comunicativa che liberasse la riflessione filosofica dalle maglie della ragione accademica; un ritorno all’essenziale del linguaggio filosofico che si chiede semplicemente che cosa sono “le cose” della nostra esperienza, la Arendt tenta di rispondervi, con una chiarezza paragonabile solo a quella di una dimostrazione logica.
Il primo frammento si apre con la domanda “che cos’è la politica?” cui segue cristallina: “La politica si fonda sul dato di fatto della pluralità degli uomini” . La risposta coglie perfettamente la prospettiva che ha caratterizzato la prima edizione della Scuola e cioè la necessità, filosofica, di muoversi in una dimensione plurale. Con questo non s’intende solo il fatto che gli incontri abbiano avuto un forma seminariale che ha coinvolto in maniera attiva i partecipanti, quanto la differenza in cui è venuto a trovarsi questo gruppo di persone che parlava di filosofia. Gli oltre sessanta iscritti avevano la caratteristica particolare di essere per la maggior parte dei “non filosofi”, cittadine e cittadini di varie età (dai 16 agli 80 anni) e di diversissima estrazione sociale. Questa differenza è emersa soprattutto durante le discussioni che seguivano le relazioni dei docenti: non si trattava di semplici richieste di approfondimento o d’interventi specialistici, bensì di un’emersione continua, nelle forme più varie, di concetti fondamentali alla filosofia e alla vita. La diversità dei punti di vista sulle questioni e i problemi messi in gioco ha tessuto una rete sui cui fili danzano ancora i pensieri arendtiani.
Prima di tornarvi, è necessaria però una precisazione, soprattutto alla luce di una rinascita di interesse verso la filosofia che si è registrata in questi ultimi anni e si è manifestata con l’apparire di numerosi festival filosofici. Sebbene la tendenza sia da considerarsi positiva, l’idea da cui si origina il progetto di cui ci occupiamo non si pone in questo solco. Il motivo è dovuto al carattere di “evento” spesso assunta da questa forma di filosofia fatta nelle piazze, che rischia di trasformare il bisogno di tenere un discorso pubblico in un’occasione di intrattenimento del pubblico, con tutte le ambiguità che questo termine comporta. Quello di Roccella è stato invece il tentativo creare nuove pratiche di relazione e di confronto a partire da un problema.

am

(1) I frammenti che Hanna Arendt aveva redatto per il libro sono editi in Italia nella pubblicazione Che cos’è la politica, Ed. di Comunità, Milano, 2001.
continua...

venerdì 10 dicembre 2010


Noi siAMo qUi

(in foto: variante -in-finita- della ss 106, quella che dovrebbe permettere una migliore vivibilità agli abitanti di Roccella Jonica e anche a tutti i - si spera - numerosi frequentatori della Scuola di filosofia)
(però -a dire la verità- Roccella è già molto bella)
Tutto scorre, tranne la strada..

Che cosa fa camminare la strada?

la ricerca

"chi non spera l'insperabile non lo troverà, poichè è chiuso alla ricerca, a esso non porta nessuna strada" Eraclito l'Oscuro






Ah! Poor Alice... tutta sola su quel fazzoletto di cammino, eppure, la solitudine non le fa capire quanto è stata fortunata: quel cane spazzino è il doppio surreale del filosofo, e le insegna che la strada è sempre da fare, ma lei è ancora troppo confusa per capire!
A proposito di strada, mi viene in mente la frase di Wittegenstein
"un problema filosofico ha la forma: non mi ci raccapezzo!"
la mia passione per le etimologie mi ha spinto ha cercare la derivazione dell'insolito verbo scelto dal filosofo del linguaggio e mi ha fatto scoprire che quel termine ha molto a che fare con il sentiero che stiamo percorrendo. Raccapezzare significa trovare e raccogliere i capi (cabezas) di un groviglio; ma deriva da accappezzare "sbozzar pietre" che è anche il lavoro che fanno gli operai delle strade antiche. i raccapezzatori sono coloro che tagliano e spaccano i pezzi di granito affinchè la strada che devono lastricare sia levigata e compatta.

il loro lavoro consiste, insomma, nel rifinire i pezzi per l'incastro.
A ben vedere, anche la mente umana funziona così, prende le pietre del pensiero e le rifila in modo da farle funzionare nel persorso che vuole pavimentare affinchè anche altri possano percorrerlo e andare un poco più in là a cercare nuove strade.
Ma prima delle pietre, che sono le parole, bisogna segnare da soli con i propri passi un sentiero

solo et pensoso i più deserti campi
vo' mesurando a passi larghi e lenti

e poi lavorare affinchè sia permesso anche agli altri di percorrerlo.
Nonostante l'accapezzamento, in un problema filosofico non ci si raccapezza, le parole spesso non bastano e sembrano tutte sbagliate, ma bisogna continuare a lavorare, spaccando pietre e cercando i fili del discorso, pur sapendo, come nel caso della SS106, che sarà impossibile trovarli. am

Tutto ciò che distingue l’uomo dall’animale dipende da questa capacità di sminuire le metafore intuitive in schemi, cioè di risolvere un’immagine in un concetto […]. Mentre ogni metafora intuitiva è individuale e risulta senza pari sapendo perciò sempre sfuggire a ogni registrazione, la grande costruzione dei concetti mostra invece la rigida regolarità di un colombario romano e manifesta nella logica quel rigore e quella freddezza che sono propri della matematica. Chi è ispirato da questa freddezza, difficilmente crederà che il concetto – osseo come un dado, spostabile e munito di otto vertici come questo – sussista unicamente come il residuo di una metafora. F. Nietzsche La Filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti 1870-1873, Adelphi, Milano, 1973. pp. 233-235.

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