giovedì 28 febbraio 2013

I beni comuni e il flop della sinistra


«E il fallimento della sinistra tradizionale si spiega con l’incapacità di identificare la sinistra di oggi con i movimenti dei beni comuni». Lo scrive Carlo Freccero su il Manifesto del giorno dopo le elezioni. Nel pezzo l’autore «sogna» l’alleanza Pd-Sel-M5S e, soprattutto, individua il dato saliente che qualifica i grillini e cioè quello di dare forma alla moltitudine, che di per sé è informe, ma che rappresenta la vera novità della sfera pubblica contemporanea (mi son lasciato trascinare dalla riflessione in un post che ribloggo qui).
Ma dicevamo dei beni comuni. Quelle risorse pubbliche e non statali, che innervano il tra degli individui e che concepiscono il soggetto come un prodotto e non come un antefatto. Che celebrano il noi piuttosto che l’io e che nella postmodernità prendono il nome di risorse naturali come l’acqua e l’ambiente, o di aspetti più antropomorfi come la salute e l’istruzione. Freccero segnala che il flop della sinistra sia da addebitare perlopiù alla «frattura fra Ingroia e i movimenti “Cambiare si può” e “Alba”»: proprio quei movimenti che avevano messo in agenda la cura del comune. Ancora, il pensiero di Freccero, oltre al tentativo di dare conto dello smacco della sinistra, testimonia l’attualità dell’argomento beni comuni. E, quindi, è in punta di piedi che registro l’interesse che da un po’ di mesi a questa parte la nostra Scuola ha rivolto a questo tema, cui sta lavorando per la prossima edizione della Summer. La faccio breve e vado subito al punto che vorrei mettere in chiaro perché legittimi l’attenzione filosofica. Fra i beni comuni più preziosi vi è il linguaggio verbale, la generica predisposizione all’eloquio posseduta dalla specie Homo sapiens. Il linguaggio ci pervade anima e corpo e diventa decisivo capirne gli aggiornamenti, sia sul piano teorico sia sul piano pratico, nell’epoca in cui diviene il principale protagonista della forza produttiva e, dunque, sociale e politica. Il postfordismo è caratterizzato dalla messa al lavoro dell’intelligenza generale, come notano i vari Negri, Marazzi e Virno. Tradotto: la messa in opera del lavoratore che fin da subito fa appello alle abilità che condivide con i suoi simili, che fin da subito richiama e usa le astratte doti cognitive, relazionali e affettive che ha in comune con ognuno degli altri. Da qui, credo, emerge la rinnovata importanza dei beni comuni e della moltitudine che se ne prende carico. Col M5S (e anche con "Cambiare" si può e "Alba") che, in questo senso, rappresenta un laboratorio a cielo aperto di cui occorre tenere conto: i partiti e gli analisti devono tenerne conto, perlomeno per non rimanere scioccati da altri boom

Angelo Nizza



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