martedì 25 giugno 2013

Postmodernismo, storia e beni comuni

Metropolis
di GIACOMO PISANI

La recensione dell’amico Angelo Nizza al mio Il gergo della postmodernità (Unicopli 2012, con prefazione di Augusto Illuminati) offre degli spunti interessanti per approfondire alcuni nodi cruciali del testo.
E’ vero, richiamarsi ad un modo di esistenza autentico, contrapposto a quello della postmodernità, comporta un rischio. Quello di delineare un modello assoluto di esistenza, di società o addirittura di natura umana, ipostatizzando il rapporto dialettico che collega individuo e storia. Non posso negare, però, di aver cercato ad ogni costo di evitare questa trappola.
L’appello all’autenticità (la 'Eigentlichkeit' heideggeriana) non vuole essere un richiamo ad un qualche modello determinato, ma consiste nell’assunzione della storicità dei nostri modi di fare e di agire. È l’oblio della storicità a determinare l’assolutizzazione delle categorie sociali ed economiche, impedendo qualsiasi rimodulazione dell’essente.

E certamente il postfordismo descrive una frazione fondamentale della postmodernità, quella del lavoro. Più che costituire un fattore di emancipazione, con la liberazione del lavoro dalla determinazione del capitale, il postfordismo si caratterizza per una sussunzione totale della vita ad opera del capitale stesso. Il soggetto postmoderno, infatti, sradicato dall’ambito di senso della propria comunità, incapace a progettarsi a lungo termine e impossibilitato ad accedere a lavoro, casa, famiglia ecc, è più facilmente ricattabile. Anestetizzato a livello sociale, messo a valore a livello lavorativo, è deprivato della capacità di scelta e di decisione.
La sfida del reddito minimo e dei beni comuni è allora nella sottrazione della sopravvivenza e di determinati beni e servizi al mercato, non dettata dal riconoscimento di una qualche essenza ipotetica. Piuttosto, la dialettica dei beni comuni è immanente ai rapporti sociali e si attua nella sottrazione degli spazi di progettazione politica alla pianificazione della tecnica e del mercato. In tal modo, la politica si progetta attraverso il riconoscimento dei bisogni e dei relativi diritti che sorgono in seno stesso alla società, inaugurando una rielaborazione delle forme di riconoscimento giuridico e sociale. Pur senza sottrarre l’individuo al suo ambito sociale di riferimento, che costituisce l’ambito della sua esposizione essenziale, il reddito minimo, come i beni comuni, aprono spazi di ricostruzione di socialità al di fuori del mercato.

Il reddito e il comune divengono allora lo strumento di affermazione di nuovi spazi di decisione, piuttosto che la sanzione formale di una qualche produttività emancipatoria di natura postfordista. Restano individuo e storia, nella loro compenetrazione essenziale, che annulla ogni verità assoluta e la ricama di incertezza. Come quella dei bisogni e delle passioni degli uomini che costruiscono la propria esistenza.

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