Metropolis |
di GIACOMO PISANI
La recensione dell’amico Angelo
Nizza al mio Il gergo della postmodernità (Unicopli 2012, con prefazione di Augusto Illuminati) offre degli spunti interessanti per approfondire alcuni nodi cruciali del
testo.
E’ vero, richiamarsi ad un modo
di esistenza autentico, contrapposto a quello della postmodernità, comporta un
rischio. Quello di delineare un modello assoluto di esistenza, di società o
addirittura di natura umana, ipostatizzando il rapporto dialettico che collega
individuo e storia. Non posso negare, però, di aver cercato ad ogni costo di
evitare questa trappola.
L’appello all’autenticità (la 'Eigentlichkeit' heideggeriana) non vuole essere un richiamo ad un qualche modello determinato,
ma consiste nell’assunzione della storicità dei nostri modi di fare e di agire. È l’oblio della storicità a determinare l’assolutizzazione delle categorie
sociali ed economiche, impedendo qualsiasi rimodulazione dell’essente.
E certamente il postfordismo
descrive una frazione fondamentale della postmodernità, quella del lavoro. Più
che costituire un fattore di emancipazione, con la liberazione del lavoro dalla
determinazione del capitale, il postfordismo si caratterizza per una
sussunzione totale della vita ad opera del capitale stesso. Il soggetto
postmoderno, infatti, sradicato dall’ambito di senso della propria comunità,
incapace a progettarsi a lungo termine e impossibilitato ad accedere a lavoro,
casa, famiglia ecc, è più facilmente ricattabile. Anestetizzato a livello
sociale, messo a valore a livello lavorativo, è deprivato della capacità di
scelta e di decisione.
La sfida del reddito minimo e dei
beni comuni è allora nella sottrazione della sopravvivenza e di determinati
beni e servizi al mercato, non dettata dal riconoscimento di una qualche
essenza ipotetica. Piuttosto, la dialettica dei beni comuni è immanente ai
rapporti sociali e si attua nella sottrazione degli spazi di progettazione
politica alla pianificazione della tecnica e del mercato. In tal modo, la
politica si progetta attraverso il riconoscimento dei bisogni e dei relativi
diritti che sorgono in seno stesso alla società, inaugurando una rielaborazione
delle forme di riconoscimento giuridico e sociale. Pur senza sottrarre
l’individuo al suo ambito sociale di riferimento, che costituisce l’ambito
della sua esposizione essenziale, il reddito minimo, come i beni comuni, aprono
spazi di ricostruzione di socialità al di fuori del mercato.
Il reddito e il comune divengono
allora lo strumento di affermazione di nuovi spazi di decisione, piuttosto che
la sanzione formale di una qualche produttività emancipatoria di natura
postfordista. Restano individuo e storia, nella loro compenetrazione
essenziale, che annulla ogni verità assoluta e la ricama di incertezza. Come
quella dei bisogni e delle passioni degli uomini che costruiscono la propria
esistenza.