Un vecchio criterio del
materialismo storico afferma che l’animale umano, poiché non gli è dato di
corrispondere con un ambiente univoco una volta per tutte, oltre a vivere è
chiamato a riprodurre la vita. I tipi umani sono tali, cioè, da sposarsi,
andare al bar e tesserarsi per un partito politico ma solo a patto di
attrezzarsi per la sopravvivenza che non gli è affatto garantita fin da subito
e per sempre. Da meno di un paio di secoli il lavoro salariato è la maniera in
cui siamo soliti mantenerci. Nell’epoca del capitale, produrre le condizioni di
possibilità della vita significa lavorare in cambio di denaro utile all’acquisto
di beni e servizi. Questo è il raccontino del moderno, ridotto perfino alla
banalità. Oggi, tuttavia, le cose non stanno più così. Il post-moderno, o se
volete lo spirito post-fordista, si dà a vedere secondo la geometria tipica di
un circolo vizioso all’indietro. Di un regresso all’infinito.
Prendo qui in
prestito la terminologia introdotta da Paolo Virno nel libro E così via, all’infinito (Bollati
Boringhieri, 2010). Dunque: non il regresso per presupposizione, che dal
fondato risale al fondamento e da lì ancora a ritroso fino all’antefatto della
condizione e così via senza esito (esempi di Virno: linguaggio-oggetto e
metalinguaggio, regola e metaregola). Non questo modello di regressione, ma l’altro,
quello per alternanza. Se l’infinita presupposizione mette in conto un solo
termine che alla lunga si sdoppia in ‘posto’ e ‘presupposto’, l’infinita
alternanza indica già due elementi che voluta dopo voluta tendono a individuare
un unico aspetto e cioè l’indistinguibilità tra natura e storia (esempi dell’autore:
ambiente e mondo, individuo e specie, biologia e cultura). Ora, i nostri
termini sono ‘lavoro’ e ‘non-lavoro’. Credo che sia ragionevole ritenere che il
tempo presente sia caratterizzato da un incessante alternanza fra questi due
poli. Meglio: oggi, piuttosto che preoccuparsi solo di riprodurre la vita, quindi lavorare, occorre anche fare i conti con l’esperienza di
chi ogni giorno impegna risorse psico-fisiche e temporali per inventare un’occasione,
per creare i presupposti necessari alla realizzazione attuale di un’operosità
finalizzata alla riproduzione della vita. L’odierna crisi del lavoro annuncia
il non-lavoro secondo le fattezze di una sfera di potenzialità che soverchia lo status di occupato. Le singole biografie abbracciano l’andirivieni
lavoro-non-lavoro come ormai una routine. La storia, invece, si misura con un
cortocircuito epocale, sperimentando i limiti del lavoro, quindi, il suo
dilatarsi a non-lavoro e chiedendosi se mai ci sarà un ritorno al primo termine, ancor
più inverato. Oppure se basta così.
Angelo Nizza