di ANGELO NIZZA
Certo,
parlare del concetto di “comune” al Sud significa approfondirne l’addentellato
politico ed economico e, quindi, discutere della teoria dei beni comuni.
D’altronde il meridione d’Italia genera parecchia invidia in giro per il mondo
quanto a risorse cosiddette “indisponibili” come il mare, i laghi e l’intero
ecosistema che comprende flora e fauna, ma anche il ricco e variegato
patrimonio culturale e archeologico. Tuttavia, il “comune” alla luce del
pensiero meridiano acquista un senso più radicale dell’idea benecomunista e,
anzi, la precede e la giustifica.
Intendiamoci: la teoria dei beni comuni, che
vede in gioco pezzi di sinistra non parlamentare insieme con collettivi e
movimenti, rappresenta una delle poche idee promettenti della nostra epoca,
nella misura in cui prova a mettere in chiaro i limiti della governance
neoliberista e a proporre un’alternativa. Quel che però sta a valle non è la
sfida immediatamente economica ma antropologica che il Sud può sentire sua.
L’antropologia, lungi dal configurarsi come un settore scientifico disciplinare
da riempire con contenuti, riguarda la nostra vita, la vita degli uomini
meridionali.
Quello antropologico è uno sguardo materiale che concerne modi di
dire e di fare e pratiche di sostentamento. Il Sud, terra di dove finisce la
terra, al margine rispetto al centro in cui risiedono le forze dominanti, è
chiamato a riscoprire la dimensione non privatista e non individualista
dell’esperienza. Rispetto al concetto di “comune”, in coerenza col suo statuto
logico che premia la relazione fra i molti rispetto allo psicologismo solitario
del singolo, il Sud è provvisto di un angolo di prospettiva strategico, perché
fuori dalle trame del mercato vincente e, quindi, privo di pregiudizio.
Disincantato.
Nell’ambito di un pensiero del “comune”, la quarta edizione della
Scuola estiva in filosofia “Giorgio Colli” di Roccella Jonica sarà interamente
dedicata a questo tema. Per noi che siamo dentro la rassegna, discutere “Del
comune” (questo il titolo delle giornate di studio che andranno dal 24 al 28
luglio prossimi) vuol dire operare una sorta di auto-psicanalisi, cioè di
esaminare a fondo noialtri irreversibilmente legati a una forma di vita
associata non merceologica e di capire come meglio difenderci.
Roccella, nel
cuore del comprensorio della Locride, distretto crocevia di intrallazzi
politico-economici e mafiosi che travalicano i confini regionali e nazionali,
sarà meta di intellettuali giovani e meno giovani: dal direttore della Scuola
Giuseppe Cantarano al filosofo Gianni Vattimo, dal giurista Ugo Mattei allo
storico Piero Bevilacqua, dalla giornalista e saggista Ida Dominijanni
all’economista Bruno Amoroso.
Oltre ai big, uno spazio decisivo sarà assegnato
al seminario animato da laureati, dottorandi e dottori di ricerca sul “sapere
come bene comune”. Anche qui l’idea è che ci sia una partita aperta,
finalizzata a concepire i saperi come patrimonio della moltitudine e non come
proprietà privata da brevettare. Il punto è che non si tratta di un dato
acquisito, ma di un obiettivo da raggiungere.